AMBIENTE, GEOPOLITICA E BATTERI
I temi della produzione di energia in modo ecologicamente sostenibile e dell’approvvigionamento di materie prime attraverso percorsi -ancora- “sostenibili”, ma in senso geopolitico, sono connessi.
Come si constata da oltre un anno, i processi di globalizzazione economica si sono alterati e il mondo occidentale proclama in varie sedi l’intenzione di affrancarsi da dipendenze verso aree del mondo con le quali la condivisione di valori etici, politici e giuridici appare affievolita, quando non temporaneamente sospesa o interrotta. Ma riorientare il procurement e le tecniche di produzione può non essere facile dal punto di vista tecnologico e può richiedere risorse finanziarie ingenti.
Il contesto, poi, è quello nel quale le emissioni di CO2 hanno toccato il record di 37 miliardi di tonnellate nel 2022 e la crisi energetica ha rilanciato i consumi fossili ( +1,6 di carbone, +2,5 di greggio e gas); ciò a cui – però – non si ritiene utile reagire con una “indigestione normativa avulsa dai problemi concreti scaricati sui destinatari” o con “date-obiettivo fissate con il pilota automatico invece che poggiate su adeguati studi di fattibilità economica, industriale e sociale e parametrati sulla tutela della competitività globale europea” (così Cerretelli, Transizione verde, alla UE serve realismo, Il sole 24 ore, 15.3.2023) né con decisioni ambiziose non realizzabili che possono anzi “creare caos e allontanare gli obbiettivi” (così Tabarelli, Emissioni zero, grandi annunci ma impossibili, Il Sole 24 ore, 23.9.2019).
Due recenti articoli apparsi sulla Neue Zürcher Zeitung dischiudono prospettive interessanti al riguardo.
Da un punto di vista economico, per rendere accessibili e profittevoli le attività produttive eco-compatibili potrebbe essere necessaria l’attivazione di finanziamenti o incentivi e da questo angolo di visuale è noto che alcuni paesi sono partiti prima o si trovano avvantaggiati da condizioni macroeconomiche migliori (come gli Stati Uniti, forti del programma di sovvenzioni previsto dall’Inflation Reduction Act 2022, con un programma di prestiti fino a 370 bio USD, finalizzati a dare impulso alle tecnologie di produzione e di costruzioni di infrastrutture). E’ allora interessante in questa direzione leggere che il nuovo presidente della Banca mondiale Ajaj Banga abbia anticipato che tra le future linee dell’attività della sua gestione ci sarà proprio quella dell’aiuto finanziario ai governi in vista dello sviluppo di una nuova capacità di resilienza e di autonomia energetica nel quadro di un futuro ad emissioni ridotte.
Se la Banca Mondiale intenderà davvero finanziare per incentivare la riduzione di emissioni lo si comprenderà meglio alla conferenza sul clima mondiale di Dubai (COP28) del prossimo Dicembre (in argomento v. Oroshakoff, Billions against climate change and poverty: the World Bank is looking for money and a new role, NZZ, 19.4.2023). Ma vi è uno scenario nel quale quale l’Unione Europea potrebbe non trovarsi in posizione di svantaggio: se si rendessero disponibili linee di credito per finanziare le attività di riduzione delle emissioni, e se non vi fosse troppa concorrenza rispetto a questi mezzi di finanziamento (per esempio perché alcune economie emergenti -come la Cina, l’Arabia Saudita, il Brasile e l’Argentina- fossero preoccupate di accedere al credito temendo i correlativi costi; o perché alcune di esse fossero -al contrario- poco inclini a riorientarsi verso le energie rinnovabili) potrebbero allora diventare eligible progetti europei.
Questo pare però essere un settore in cui occorrerebbero “progetti audaci“, come suggerito da Jeffrey Sachs, direttore dell’Earth Institute alla Columbia University (Sachs, Quattro ostacoli lungo la via che porta alla sicurezza climatica, in Aspenia, 9 ottobre 2019), che ammonisce sul fatto che “fino a poco tempo fa la maggior parte dei governi credeva di potersi permettere il lusso di aspettare. Oggi sappiamo che non è così. Ogni paese deve chiamare all’appello i sui migliori scienziati e ingegneri per disegnare la rotta verso l’azzeramento delle emissioni entro il 2050”.
Si inserisce in questa prospettiva il caso di cui ci parla Rudolf Hermann (Europe wants to become less dependent on China for stategic raw materials, NZZ, 10.3.2023) a proposito di nuova possibile direttrice produttiva che consiste nell’approfondire le potenzialità del biomining: anziché estrarre il metallo dai giacimenti, con l’uso di solventi chimici aggressivi e inquinanti e con le connesse problematiche di impatto ambientale e sociale, l’idea è quella di utilizzare i batteri in funzione di agenti nell’ambito di procedimenti chimico-biologici di riciclaggio degli e-waste. Si fa l’esempio, dalle grandi quantità di pile esauste stoccate in Europa dalle quali è possibile ricavare- utilizzando l’opera dei batteri- oro, argento, palladio, platino, o il caso di alcune terre rare che possono essere estratte dai rifiuti industriali della produzione di fertilizzanti o dal “fango rosso“, il residuo industriale -inquinante e difficilmente smaltibile- della produzione dell’alluminio (depositato in bacini di decantazione e accumulo non sempre a tenuta stagna, come mostrato nel caso dell’incidente mortale di Ajka del 2010).
La tecnologia del biomining batterico non è nuova ma è stata a lungo considerata troppo costosa rispetto alle alternative disponibili sul mercato, benché si trattasse di alternative inquinanti, anche perché il rifornimento di queste materie prime era affidato alla consueta e abbordabile catena di approvvigionamento globalizzata (leggi: importazione dell’Asia). Ma se lo scenario della globalizzazione è destinato a mutare, il mondo occidentale potrebbe cominciare a guardare ad alternative di questo genere (ed è per esempio il caso dello stabilimento della canadese Stilmet a Sillamae nell’Estonia orientale, al confine con la Russia).
E venendo ai batteri: se sono considerabili da un punto di vista economico come oggetti disponibili in quantità limitata, reperibili e utili a soddisfare bisogni, ciò significa che sono “beni” anche in senso giuridico? Cioè, sono “cose” potenzialmente oggetto di diritti, dunque appropriabili e commerciabili (in presenza dei necessari requisiti di natura pubblicistico-amministrativa)? Verosimilmente, quantomeno nel caso in cui fossero il frutto di attività produttive la risposta dovrebbe essere affermativa, poiché in tal caso il lor venire ad esistenza non sarebbe “naturale” (come invece per l’acqua disponibile in natura) ma artificiale (ed esistono già precedenti nel settore dell’utilizzo dei batteri per l’accelerazione della fermentazione alimentare ma anche nel settore dello smaltimento di residui di sversamento di idrocarburi). Peraltro nell’ordinamento italiano anche le energie naturali, tra le quali si annoverano anche quelle di origine animale, sono considerati “beni” in senso giuridico. Ne deriverebbe la normale applicabilità delle regole civilistiche anche con riguardo ai contratti che avessero ad oggetto lo scambio della proprietà di batteri o la loro realizzazione in laboratorio.
E quale regime giuridico di responsabilità deve applicarsi ai batteri e/o alla loro produzione? Per esempio, ipotizzando fenomeni di contaminazione degli agenti atmosferici ad opera dei batteri, si tratterebbe di attività “pericolosa” ai sensi dell’art. 2050 c.c. e/o di prodotto potenzialmente difettoso ai sensi della normativa sulla responsabilità del fabbricante? Seguono inevitabilmente questioni assicurative: i prodotti reperibili sul mercato coprono senza ostacoli e a sufficienza le ipotesi di produzione e di trasporto?
E’ poi chiaro che si tratta di quesiti suscettibili di soluzione diversa a seconda della giurisdizione di riferimento, e sono proprio settori come questo che non sfuggono all’attenzione dei legislatori sovranazionali, proprio in vista del pericolo di regolamentazione difforme.
Come di fronte ad ogni sviluppo tecnologico, insomma, anche in questo caso sarà interessante collocare le varie fasi industriali del biomining nelle categorie di riferimento dei giuristi, per non lasciare l’operatività produttiva sguarnita del necessario inquadramento.