CONCENTRAZIONI E TRANSIZIONE GREEN – IL MODELLO CHE VERRÀ
I fattori ambientali sono ora spesso un elemento trainante della strategia di fusioni e acquisizioni. Nella maggior parte dei settori, un profilo ecologico scadente può avere un grave impatto sulle decisioni di investimento, la reputazione e la solidità di un intero portafoglio aziendale, riducendo, da ultimo, le possibilità di ritorni finanziari.
Tale considerazione procede di pari passo con l’importanza e gli obiettivi posti dal Green Deal europeo del 2019, a mezzo del quale l’intera comunità europea si è prefissata il raggiungimento della cd. “quota zero” nelle emissioni di CO2 per il 2050.
Tra i vari settori coinvolti in questo processo, la Commissione europea si è mossa immediatamente anche con riferimento a quello della concorrenza al fine di assicurarsi che la normativa antitrust giochi la sua parte nella realizzazione degli ambiziosi obiettivi proposti in tema di sostenibilità ambientale.
Lo scorso anno, la Commissione ha infatti aperto una consultazione pubblica rivolta ai soggetti interessati, per poi esprimere formalmente la propria opinione tramite un position paper ad interim (il Competition Policy Brief del settembre 2021).
Sebbene il processo di confronto con gli stakeholders sia in fase di continuo aggiornamento, il citato paper ha posto le basi per le necessarie riforme (anche in tema di enforcement) che dovranno essere applicate nei prossimi anni nelle tre aree principali in cui si dirama il diritto della concorrenza (id est l’antitrust in senso stretto, gli aiuti di stato e le concentrazioni) al fine di garantire una rapida ed efficace transizione verso modelli economici eco-sostenibili. La Commissione ritiene che rendere i mercati aperti, competitivi e innovativi costituisca un driver“fondamentale” per il raggiungimento degli scopi prefissati in ambito ambientale dal Green Deal.
Per quanto riguarda le concentrazioni, la Commissione, basandosi anche sul feedback ricevuto dalle consultazioni avviate, sottolinea che il suo procedimento di review delle transazioni terrà maggiormente in considerazione le preferenze dei consumatori per i prodotti green e favorirà l’utilizzo dell’art. 22 del regolamento n. 139/2004 (European Merger Regulation). Nell’incoraggiare la fruizione di tale disposizione normativa (che prevede il cd. meccanismo di “referral” tra Stati Membri e Commissione), viene sottolineata non solo la rilevanza del formarsi di una prassi “centralizzata” che eviti possibili divergenze nella gestione del problema tra le varie autorità della concorrenza nazionali, ma anche l’importanza di rimediare a problemi legati a vuoti di enforcement nelle acquisizioni di nuovi competitors che potrebbero portare a una perdita di innovazione, ad esempio (e soprattutto), nelle aree della sostenibilità (cd. “killer acquisitions”).
Ebbene, già a partire dagli ultimi anni (e così sarà in maggior misura nel futuro) la Commissione ha cominciato a guardare alle green efficiencies elevandole a parametro sempre più rilevante nella valutazione delle concentrazioni.
Dal punto di vista pratico, esempi nei quali la Commissione sottolinea l’importanza dei fattori ambientali nella propria prassi può essere intravista in alcuni casi recenti.
In Bayer/Monsanto (Caso M.8084, 2018), la Commissione ha esplicitato formalmente la necessità di aumentare la propria consapevolezza in termini di implicazioni sul clima e la sostenibilità in generale derivanti dalla riduzione di concorrenza a causa delle concentrazioni, specificando anche di dover “prestare particolare attenzione nella sua revisione per garantire che l’innovazione post-transazione […] sia preservata come chiave per l’emergere di prodotti più efficaci, più sani, più sicuri e più rispettosi dell’ambiente”.
Anche precedentemente in Dow/DuPont (Caso M.7932, 2017) la Commissione aveva sollevato l’importanza dell’innovazione in ambito eco-sostenibile. Nel caso in questione l’autorizzazione all’operazione di concentrazione era stata subordinata all’assunzione di impegni da parte delle imprese. In particolare, la Commissione era preoccupata dei rischi connessi alla significativa riduzione di concorrenza nell’innovazione dei pesticidi, con evidente riferimento all’impatto ambientale dei medesimi. Il fatto che gli agricoltori apprezzassero prodotti più efficienti e (soprattutto) meno tossici doveva essere tenuto in conto secondo la Commissione. Inoltre, la probabile diminuzione nel confronto concorrenziale tra due fra i più grandi produttori di pesticidi sul mercato avrebbe provocato preoccupanti disincentivi all’innovazione, con conseguenze dannose sul miglioramento dei profili eco-sostenibili dei pesticidi.
Come accennato in precedenza, dunque, preferenze del consumatore relativamente a prodotti a basso impatto ambientale, nonché riflessioni sull’efficienze green delle concentrazioni sono entrate ad assumere maggiore importanza nelle analisi della Commissione.
In buona sostanza, per usare terminologie care alla materia antitrust, le questioni di sostenibilità sono entrate nelle cd. theories of harm, con ciò volendo dire che se il consumatore venisse danneggiato sotto il profilo ambientale, l’autorità di concorrenza potrebbe subordinare la concentrazione all’assunzione di impegni o addirittura bloccarla, secondo la nuova prassi.
Tale concetto risulta ancora più evidente in Aurubis/Metallo (M.9409, 2020), un recente caso avente ad oggetto una concentrazione tra due compratori di rame scartato. Nonostante la concessione dell’autorizzazione all’operazione in questione, è interessante osservare come la preoccupazione della Commissione europea, nello specifico, fosse che a seguito della fusione le due parti avrebbero pagato meno per il rottame di rame a causa del loro maggiore potere d’acquisto. Il prezzo più basso per il prodotto riciclato dopo la fusione, a sua volta, avrebbe potuto significare che l’intera catena di approvvigionamento sarebbe stata meno incentivata a raccoglierlo. Ciò avrebbe comportato un deterioramento del ciclo produttivo e avrebbe condotto a maggiori emissioni di CO2, a causa della sostituzione del rame scartato (più eco-sostenibile) con il rame primario.
Le implicazioni delle operazioni di concentrazione aventi ad oggetto qualsiasi tipo di impatto ambientale, come dimostrano gli esempi appena citati, illustrano l’intento della Commissione di adottare approcci “green” nella revisione delle transazioni portate alla sua attenzione. Ciò comporterà non solo un maggior peso dei fattori di eco-sostenibilità nel bilanciamento degli elementi utili a stabilire se una concentrazione possa venire autorizzata o vietata, ma (si spera) anche ad una maggiore consapevolezza negli stakeholders al fine di calibrare la propria attività in segmenti che possano condurre le imprese ad investire sull’innovazione ambientale dei propri prodotti anche nell’ottica di eventuali operazioni di concentrazione future.
Come accennato in precedenza, il ruolo della Commissione, nell’ambito di tale processo, risulta fondamentale. L’art. 22 EUMR rappresenta uno strumento di consistency molto importante. Mirare al raggiungimento degli obiettivi posti dal Green Deal tramite il driver concorrenziale significa garantire anche che la spinta all’innovazione eco-sostenibile sia inserita nel quadro della certezza del diritto. A ben vedere, infatti, incorrere in possibili rallentamenti determinati dalla confusione circa la valutazione dei fattori a contenuto ambientale risulterebbe controproducente. Al contrario, ingenerare nelle imprese consapevolezza e incentivarle a innovarsi prestando maggiore attenzione ai profili di sostenibilità ambientale, porterebbe alla formazione di un circolo virtuoso capace di autoalimentarsi e di guidare più rapidamente la transizione green al raggiungimento degli obiettivi di “zero emissione” prefissati per il 2050.
Ben conscia di ciò, la Commissione europea vuole (e deve!) assumersi la responsabilità di dettare la linea da seguirsi. Pertanto, sollecitare le autorità di concorrenza nazionali a delegarla ogniqualvolta si sia in presenza di concentrazioni a tema “green” sarebbe l’unica vera strada per stabilire una prassi solida, chiara e affidabile. Se è pur vero che, da un lato, la burocrazia del meccanismo di referral rallenterebbe la formazione di tale prassi (dato che le autorità nazionali, pronunciandosi autonomamente, sarebbero certamente più veloci e, considerate nel loro insieme, valuterebbero naturalmente un numero più alto di casi), dall’altro è forse preferibile, in una prima fase, procedere nel modo poc’anzi illustrato anche perché, successivamente, con una prassi consolidata a livello “centralizzato”, la valutazione delle concentrazioni con profili green potrà essere agevolmente trasferita alle autorità di concorrenza nazionali. Queste ultime, forti dell’esempio stabilito dalla Commissione, avrebbero il compito più facile di seguirlo, applicarlo e promuoverlo, aumentando, di conseguenza, rapidità e consistency nelle valutazioni delle concentrazioni con risvolti di eco-sostenibilità.
Ad oggi non sono individuabili, fra quelle disponibili sul sito, decisioni dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che abbiamo preso in considerazione fattori di eco-sostenibilità nell’analizzare operazioni di concentrazione relative a settori suscettibili di innovazione tecnologica con risvolti ambientali. Ma ciò può dipendere da vari fattori, in primis la tipologia di queste operazioni e la mancanza di sovrapposizione (o la limitata sovrapposizione) delle attività delle parti nell’ambito della sostenibilità.
Solo un sistema strutturato sulla lungimiranza e su solide basi di prassi potrà rendere il driver della concorrenza, nella sua espressione relativa al mondo delle concentrazioni, veramente utile alla transizione verso modelli di economia a basso impatto ambientale.