Sanità, concorrenza e amministrazione: nuovi orizzonti
Il Consiglio di Stato (Sez. III, sent. 4.2.2021 n. 1043) apre nuove prospettive alla concorrenza nel mercato delle attività sanitarie e più in generale nell’attività amministrativa.
Esso si esprime sugli accreditamenti istituzionali ex art. 8 quater dlgs 502/1992. Ossia di una delle condizioni legittimanti l’operatore a svolgere attività sanitarie a carico del sistema sanitario pubblico in regime di convenzionamento e contrattualizzazione.
La ratio dell’accreditamento è selezionare l’accesso all’erogazione di attività sanitarie pagate dalla cassa pubblica soli soggetti muniti di particolari qualificazioni sotto i profili soggettivo e oggettivo, che vadano oltre il possesso della mera autorizzazione a svolgere attività sanitarie. In un’ottica di elevazione degli standard qualitativi delle prestazioni e di impiego più efficiente del danaro pubblico. E dunque in prospettiva di maggior sostenibilità delle attività sanitarie.
A queste esigenze di fondo, innegabili a base delle ormai risalenti norme dell’art. 8 quater cit. (e delle norme regionali che vi si allineano), si è però nei fatti accompagnata una realtà nella quale spesso – talora addirittura sostanziale arbitrio della p.a. – l’accreditamento s’è trasformato in un larvato strumento di regolazione del mercato delle attività sanitarie. Posto che tramite esso la mano pubblica ha in concreto contingentato l’accesso ai mercati rilevanti delle attività sanitarie, sulla scorta di un potere non attribuitole con finalità di regolazione, di fatto creando e consolidando rilevanti presenze nei detti mercati, in capo a incumbent difficili da scalzare da parte di potenziali nuovi entranti.
Su ciò incide la sentenza citata. Essa si dice mossa dai “sempre più sviluppati ed assorbenti principi di concorrenzialità ai fini di una maggiore efficienza anche nel settore dell’offerta sanitaria”. Sì che, anche il “sistema” sanitario che Costituzione (art. 118 c. 4) e legge fondano “sulla sussidiarietà orizzontale tra operatori pubblici e privati accreditati” non può “sfuggire alle regole, operanti per qualunque settore del mercato, della concorrenzialità”. Pertanto, dinanzi all’oggettiva realtà “per cui l’accreditamento attribuisce al suo titolare una posizione concorrenziale di plusvalore rispetto agli altri operatori”, è affermata la necessità di muovere le valutazioni sottese agli accreditamenti dalla tradizionale considerazione essenzialmente basata sui volumi di attività sanitaria stimata come necessari dal servizio sanitario pubblico a una più dinamica visione consona alla necessità di una “valutazione periodicamente rinnovata ed aperta alla competizione tra chi è accreditato e chi aspira a esserlo”. Anche in chiave di “migliore e più efficiente allocazione delle risorse [pubbliche] disponibili”, e considerato che “un bando per nuovi accreditamenti non determinerebbe certamente un aumento dei c.d. “tetti di spesa” sanitaria pubblica “ma soltanto la verifica e meramente eventuale redistribuzione delle risorse [pubbliche] esistenti.”.
Affermazioni se non rivoluzionarie certo piuttosto innovative la materia.
Sentenza destinata a restare isolata?
Non lo si crede. Sia perché essa poggia su solide ragioni costituzionali (art. 3, 32 e 41 Cost. per esempio) ed euro unitarie che costituiscono forti di strumenti a che la giurisprudenza e la p.a. si allineino all’insegnamento ricordato. Sia perché la sentenza parla ante litteram la lingua del p.n.r.r. Il quale sottolinea che “In ambito sanitario, con riguardo all’erogazione dei servizi a livello regionale, occorre introdurre modalità e criteri più trasparenti nel sistema di accreditamento, anche al fine di favorire una verifica e una revisione periodica dello stesso, sulla base dei risultati qualitativi ed effettivamente conseguiti dagli operatori.”. Ed è significativo che ancor prima del p.n.r.r. la sentenza ne parli la lingua in concreto, ossia anche al di là delle stesse (talora non eccessivamente pro concorrenziali) norme che vi si sono poi andate legando.
Ed è proprio in quest’ultimo specifico aspetto la potenzialità espansiva delle affermazioni di principio della sentenza anche a settori del diritto amministrativo diversi da quello sanitario.
Nel suo schema essenziale l’affermazione è che il potere pubblico debba perseguire le specifiche finalità che la legge assegna alla sua cura. Ma esso lo deve fare – una volta che in chiave di ragionevolezza e proporzionalità amministrativa – in modo che quelle finalità siano tutelate in chiave di tutela e promozione della concorrenza e dunque della maggiore efficienza amministrativa.
Il che, in tutti i casi nei quali essa non sia in chiaro e diretto contrasto con le esigenze collettive che la legge affidi alla p.a., erige il rispetto delle norme e dei principi concorrenziali europei e interni a parametri di legittimità dell’azione pubblica nei (numerosissimi) casi nei quali l’amministrazione possa influire sul mercato, la concorrenza e le loro dinamiche.
Roberto Invernizzi