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Willingness to pay e incertezza negli accordi di sostenibilità orizzontali

Come noto, ai fini dell’esenzione di accordi restrittivi della concorrenza ex art. 101, paragrafo 1, TFUE, devono essere soddisfatte le condizioni elencate nel successivo paragrafo 3.

A tal riguardo, ha da sempre destato innumerevoli incertezze l’interpretazione della seconda condizione dell’articolo 101, paragrafo 3. Quest’ultima richiederebbe che ai consumatori sia riservata una “congrua parte” dei benefici asseriti. La nozione di “consumatori” comprende tutti gli utilizzatori diretti o indiretti dei prodotti contemplati dall’accordo e, stando alla letteratura più aggiornata anche sotto il profilo giurisprudenziale, i consumatori riceverebbero una congrua parte dei benefici quando, nel contesto di un accordo orizzontale, i benefici stessi superano il danno causato dall’accordo sul piano della concorrenza, in modo che l’effetto complessivo sui consumatori nel mercato rilevante sia quanto meno neutro.

Nella bozza di linee guida sugli accordi orizzontali predisposta dalla Commissione europea, che ormai risale a un anno fa, alla sezione relativa agli accordi di sostenibilità i benefici di cui sopra sono articolati nelle seguenti tre voci:

1) benefici che derivano dall’uso del prodotto. Tali benefici migliorano direttamente l’esperienza dei consumatori in relazione al prodotto in questione (si tratterebbe, in buona sostanza, di benefici che derivano dall’uso individuale). Qui, l’individuazione dei vantaggi e la conseguente possibilità di valutazione di soddisfacimento della seconda condizione di cui al menzionato art. 101, paragrafo 3, TFUE, sono piuttosto immediate e semplici;

2) benefici in termini di valore d’uso “non individuale” ;

3)  benefici collettivi.

Nei casi di cui ai punti 2) e 3), la valutazione sembra complicarsi notevolmente poiché i benefici potrebbero proiettarsi, oltre che sul mercato rilevante, anche su mercati connessi o addirittura mercati totalmente estranei (anche solo dal punto di vista geografico). Un discorso che diviene ulteriormente intricato se si considera come, storicamente, la Commissione si sia sempre basata su criteri quantitativi nelle sue valutazioni. Ciò che, nell’area della sostenibilità, sembrerebbe essere perlomeno più complesso, rendendo necessaria la presa in considerazione di criteri qualitativi o di modelli che ne quantifichino la “qualità”.

In tale contesto, la Commissione sembra riporre molta importanza nel criterio della “disponibilità a pagare” del consumatore per il prodotto ecosostenibile, ai fini della valutazione di legalità dell’accordo di sostenibilità. Tale constatazione è confermata anche dagli esempi pratici che la Commissione propone nella sua bozza, nei quali l’indagine presso i clienti circa la loro volontà di pagare per il prodotto in questione sembra assumere notevole rilievo come criterio per accertare il trasferimento di una “congrua parte” dei benefici asseriti al consumatore.

Un simile approccio porta ad affrontare importanti riflessioni.

In primo luogo, quando c’è una disponibilità a pagare, si può generalmente affermare che le imprese, razionalmente,  non avrebbero bisogno di coordinarsi e sarebbero più inclini a svolgere la propria attività unilateralmente su iniziative di sostenibilità più significative. Infatti, le situazioni in cui le imprese sarebbero tentate al coordinamento potrebbero riscontrarsi solo nei casi in cui le medesime si accordassero per scegliere insieme di perseguire un livello di sostenibilità inferiore a quello che farebbero se gareggiassero autonomamente sullo stesso (come il caso AdBlue ci ha recentemente insegnato, nel senso che tali pratiche sono considerate dalla Commissione come illegali).

Al contrario, senza la volontà dei consumatori a pagare, alcune aziende si sentirebbero probabilmente costrette a collaborare con i concorrenti per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità. Ciò che potrebbe in alcuni casi portare a criticità antitrust, ponendo anche le imprese a rischio di greenwashing a causa della significativa pressione a cui sono sottoposte per affrontare il cambiamento climatico più rapidamente. C’è da dire anche che, quando non si ravvisa disponibilità a pagare, la cooperazione può essere pure razionale se si considerano gli effetti di ricaduta per le imprese stesse, come, ad esempio, il miglioramento della reputazione del settore.

In secondo luogo, andando più nello specifico, la verifica della “disponibilità a pagare” porta con sé delle criticità non indifferenti: le imprese, infatti, dovrebbero condurre autonomamente e con modalità non definite dei sondaggi presso i consumatori per capirne le preferenze assumendosene i costi e i tempi, riponendo in quei sondaggi la prova oggettiva per procedere o meno alla realizzazione di un accordo di sostenibilità. Ebbene, non solo tale modus procedendi sarebbe troppo oneroso e incerto ma sottoporrebbe le imprese al rischio di vedersi contrapporre dalle Autorità di concorrenza altri sondaggi con esiti diversi perché, ad esempio, effettuati semplicemente con modalità differenti. Uno stallo inaccettabile per quelli che sono gli ambiziosi obiettivi ambientali della Commissione.

Non a caso, per ovviare a questi inconvenienti, già numerosi contributors, in particolar modo alcune tra le Autorità nazionali (soprattutto quella olandese, notoriamente attiva nel campo della sostenibilità), si sono mosse esprimendo le loro perplessità ed avanzando alcuni suggerimenti, ad esempio basati su modelli di shadow pricing.

In buona sostanza, la “disponibilità a pagare” non solo non è ben delineata come criterio nella sua funzionalità concreta, ma non dovrebbe nemmeno essere l’unica modalità esperibile per valutare il beneficio ricevuto dai consumatori. Una conclusione che, tra l’altro, emerge anche in modo esplicito dalla stessa bozza predisposta dalla Commissione nella parte in cui afferma che “La Commissione sarà in grado di fornire ulteriori orientamenti in materia dopo aver accumulato esperienza nel trattamento di casi concreti, una circostanza questa che potrebbe consentire lo sviluppo di metodologie di valutazione”. La Commissione, apparentemente, sembra essere consapevole della provvisoria assenza di totale chiarezza nella metodologia esperibile e si rimette nelle mani della (propria) futura prassi per stabilire regole e parametri certi. Ma è un approccio poco lungimirante. Infatti, è giustappunto nelle fasi iniziali che le imprese dovrebbero essere incentivate a concludere accordi di sostenibilità sulla base di una disciplina efficace oltre che facilmente comprensibile ed applicabile. Sarebbe davvero controproducente lasciare le imprese in un limbo di incertezza che le faccia in ipotesi desistere dal concludere accordi di sostenibilità. Ebbene, tale problema potrebbe ragionevolmente evitarsi con la presa di coscienza che la Commissione dovrebbe, quanto prima, prevedere una sorta di elenco nel quale sono racchiusi modelli accreditati di valutazione oggettiva dell’accordo di sostenibilità, di modo che le imprese siano libere di scegliere quello più confacente al proprio mercato senza che le Autorità di concorrenza possano intervenire a meno di un evidente “misuse” dello strumento utilizzato dall’impresa. Un sistema che dovrebbe incentrarsi sulla chiarezza e sulla certezza, elementi che al momento non sembrano essere preponderanti nella formulazione che la Commissione utilizza nella sua bozza di Linee guida orizzontali.

Quid dunque? Nell’autunno scorso la Commissione ha annunciato una  proroga di sei mesi, fino a giugno 2023, dei regolamenti di esenzione per gli accordi orizzontali fra imprese. Conseguentemente, slitterà anche l’adozione delle  linee guida orizzontali. Nei mesi che la Commissione ha ancora a disposizione, gli accordi di sostenibilità dovranno essere auspicabilmente promossi il più possibile con regole che non ne ostacolino la nascita, ma che, al contempo, ne definiscano modalità di attuazione e valutazioni semplici e chiare, in modo da preservare il corretto funzionamento del gioco concorrenziale, con flessibilità applicativa e possibilmente con modalità di confronto ex ante fra imprese e autorità della concorrenza.

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