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Edifici “stampati”: anima verde, business, efficienza e sostenibilità. E le regole?

Stampare in 3D parti costruttive di edifici di ogni natura, da assemblare poi in loco. Una prospettiva che fa convergere spinte per l’innovazione tecnologica, possibilità di maggiore resa estetica delle costruzioni, minori impatti e durata dei cantieri, risparmio di risorse naturali, riduzione dell’inquinamento, sostenibilità, nuovi business per un’edilizia industrializzata, con ricadute anche sul social housing. E le regole?

Di recente The Economist ha tracciato (21 agosto 2021, Factory Fresh – Three-dimensional printing and construction) il punto sulle possibilità di realizzazione di edifici interamente costituiti da componenti, anche strutturali, stampati in 3D nel luogo del loro successivo assemblaggio. Per ora essenzialmente diretta al mercato delle abitazioni di non elevate dimensioni, la possibilità tecnica inerente guarda già però anche alla realizzazione in tal modo anche di costruzioni di maggiori dimensioni e ambizioni, anche di destinazione diversa da quella abitativa.

Sul versante della sostenibilità e della tutela ambientale, il nuovo modo costruttivo riduce l’impiego di risorse, vergini o secondarie, abbatte i tempi realizzativi e genera minori emissioni a cominciare da quelle di CO2, minor transito di trasporti legati all’industria edilizia (in alcuni contesti è pensabile di ridurre sostanzialmente lo stesso uso di per stampanti 3D, sostituendolo con materiali direttamente rinvenuti sul luogo dell’intervento e opportunamente trattati per potere essere impiegati in sua vece). Il tutto con comprensibili benefici, anche sul contenimento del riscaldamento globale.

Ovvio anche l’interesse sul versante del business, sia con riferimento a costruzioni puntuali, per così dire uniche, sia nel più ambizioso scenario di una maggiore standardizzazione degli interventi, con rilevanti implicazioni sulle economie di scala, minor necessità di forza lavoro, minori costi intrinseci, e dunque maggiore flessibilità e competitività dei prezzi praticabili nei mercati delle vendite e degli affitti. Anche con differenziazioni sostanziali tra diversi mercati geografici, entro lo stesso Stato o addirittura in continenti diversi.

Scenari di grande interesse. In assoluto e in questo periodo (destinato a durare anni) di rilancio economico e di getto delle basi per un mutato sistema, più resistente e resiliente. Anche in una, adeguata ai tempi e alle possibilità, rinnovata visione del tradizionale rapporto di positiva correlazione tra il buon andamento del settore delle costruzioni e il ciclo economico generale.

Il tutto, anche nello scenario del mutamento culturale, già allargatosi oltre la cerchia dei grandi sviluppatori anglosassoni ove esso s’è concepito nei decenni scorsi, teso a considerare (sia sul versante del costruttore sia su quello del mercato) l’abitazione (o altre funzioni) come legata a un servizio e con l’edificio – anche d’abitazione – considerato un vero e proprio bene consumabile, caratterizzato da un proprio (relativamente limitato) ciclo di vita. Qualcosa di ben diverso, cioè, dalla tradizionale visione della casa come l’investimento (almeno) della vita, se non destinato a servire più generazioni.

È senz’altro promettente l’interazione tra i profili di business e quelli ambientali, per una volta almeno in linea di principio più complementari che antagonisti, entro un circolo virtuoso ove essi si alimentino vicendevolmente.

Passare, però dalle ottime prospettive schematizzate alla loro concretizzazione sconta difficoltà che non sono solo quelle tecnologiche della messa a disposizione su ampia scala dei nuovi strumenti costruttivi, o – cosa ancor più complessa e senz’altro meno rapida – dell’evoluzione della mentalità del mercato (sul versante dell’offerta e della domanda) verso l’apprezzamento delle nuove possibilità.

Non sono solo quelle le sole cose che necessita mutare per la piena affermazione dei nuovi, più sostenibili ed efficienti modi produttivi legati alle tecnologie che stanno prendendo piede (o potrebbero prenderlo). Se non in assoluto nell’an è prevedibile che il passo dell’affermazione delle novità risenta anche dell’influsso normativo. Che, come sempre, se non può del tutto inibire o creare nuovi fenomeni, di certo è essenziale a regolarli e a determinarne modi o limiti di crescita.

La considerazione si proietta non tanto su singoli, e rarissimi, esempi di edificazioni a livello para sperimentale, che affiorano anche nel nostro Paese, spesso in collaborazione (anche in forme di partenariato pubblico-privato, talora con creazione di imprese start up) tra operatori privati e soggetti pubblici quali Università. Anche perché, in assoluto, e fatte salve possibili difficoltà autorizzatorie comparabile a quelle che si registrano per gli edifici tradizionali, forse marginalmente acuiti – dinanzi ad amministrazioni che si rivelassero retrive – dalla “eccessiva” novità del modo di intervento proposto.

Un reale tema giuridico si proietta piuttosto, su diversi fronti, nella prospettiva di un’affermazione tangibile e di una certa vitalità del fenomeno.

Senza pretesa di completezza in questa sede, si possono in sintesi censire, alcune aree di possibile interferenza tra il mondo del diritto e il fenomeno delle costruzioni componenti stampate.

La riflessione va allora anzitutto alle regole tecniche sulle costruzioni. Il riferimento immediato è alla parte II (rubricata “Normativa tecnica per l’edilizia”), artt. 52 e ss., del c.d. Testo Unico dell’Edilizia (d.p.r. 380/2001), nonché alla normativa vigente in materie specifiche (come quella dei cementi armati, delle costruzioni antisismiche, e così via). In merito, nella prospettiva sopra tracciata, è ovvia la necessità della definizione di standard costruttivi e prestazionali che cerchino di controllare la qualità tecnica e tecnologica delle costruzioni pre stampate … (specie quanto alle parti strutturali e alle modalità di loro assemblaggio).

Discutere della fissazione di standard del genere ora detto, significa anche, risalendo a ritroso la catena costruttiva, parlare di quelli dei macchinari idonei a stampare le componenti costruttive. Sul piano concettuale ciò potrebbe evocare la necessità di riflessioni sul punto anche sotto il profilo antitrust, in rapporto all’eventualità che una fissazione non lineare dei detti standard possa perturbare il corretto gioco della concorrenza nei mercati delle costruzioni con componenti stampate, o in quello a monte dei relativi macchinari. A oggi non appare tuttavia serio il rischio di una definizione in tal modo di serie barriere giuridiche all’ingresso in quei mercati. Per accedere ai quali non appaiono profilarsi d’altronde elevate barriere tecniche o economiche.

La maggior rapidità delle costruzioni può invece generare pressioni sul controllo sull’uso edilizio-urbanistico del territorio (nell’area del titolo I del Testo Unico dell’edilizia). Se già, storicamente, il sistema dei controlli sull’edificazione e della repressione degli abusi non ha dato eccellenti prove di sé, è dubbio che esso possa fronteggiare con particolare efficacia il fenomeno di costruzioni assentite, che siano realizzate (in poche ore) con varianti essenziali ai titoli assentivi, ovvero tout court edificazioni radicalmente abusive sorte in pochi giorni.

Sempre a livello delle norme edilizio-urbanistiche è immaginabile che i benefici ambientali delle nuove modalità costruttive (minori consumo di risorse, emissioni, tempi realizzativi, traffico indotto per movimentare materiali, ecc. …) possano giustificare l’assegnazione agli edifici realizzati con le nuove modalità di premi volumetrici analoghi a quelli che in Lombardia sono assegnati dall’art. 11 l.r. 12/2005 agli edifici progettati e realizzati secondo elevati standard di risparmio energetico.

In prospettiva urbanistica, più che edilizia, l’affermarsi dei nuovi modi costruttivi, può essere rallentato dalla spinta normativa che – anche su pressioni di matrice euro unitaria – si orienta a limitare il consumo di suolo vergine, e si indirizza più al riuso (se del caso previa demolizione) delle volumetrie esistenti. Anche se ovviamente le nuove modalità costruttive appaiono prestarsi anche a edificazioni sostitutive di altre preesistenti.

E, in effetti, le ormai numerosissime figure normative (nelle legislazioni statale o regionale) di strumenti di programmazione negoziata, si prestano ad agevolare – se del caso anche tramite opportune varianti urbanistiche premiali per l’edificazione che impieghi su scala relativamente vasta (come potrebbe essere quella di un programma integrato di intervento ex art. 89 e ss. l.r. Lombardia 12/2005 cit.) le nuove modalità costruttive, con i benefici indottine.

In sintesi, la novità (relativa, ormai) dell’edificazione tramite stampanti 3D, da un canto richiederà norme che controllino e guidino il suo evolversi, anche nell’assecondarne e amplificarne le potenzialità sotto il profili della maggiore sostenibilità ed efficienza dei fenomeni di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio. Come altrove, la lungimiranza e la propositività in materia possono pagare a diversi livelli. Le chance appaiono in definitiva più elevate del (contenibili) rischi.

Roberto Invernizzi

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