Giurisprudenza Francovich e risarcimento del danno – un cane che non abbaia?
Sono fresche di stampa (9 settembre u.s.) le Conclusioni dell’Avvocato Generale Gerard Hogan nella dibattuta causa C-497/20, Randstad Italia S.p.A. c. Umana S.p.A., e, sebbene le sue valutazioni siano passate un po’ in sordina, sono tanti gli spunti che le medesime possono offrire.
La causa in questione ha visto la Suprema Corte di Cassazione italiana effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea, lamentando, inter alia, incongruenze nel sistema procedurale interno per la mancanza di un rimedio volto a censurare la violazione di giurisprudenza comunitaria da parte del giudice amministrativo di secondo grado, stante l’asserita impossibilità di ricorrere per Cassazione tramite il disposto dell’art. 111, comma 8, Cost. (motivi di giurisdizione).
È (anche) su questo importante quesito che si è dunque espresso l’Avvocato Generale Gerard Hogan, analizzando logicità, coerenza e alternative nel ventaglio dei ricorsi esperibili a norma di quanto offerto dall’ordinamento giuridico nazionale.
Se da una parte il ragionamento elaborato dall’AG l’ha portato a negare che sia possibile adire la Suprema Corte ex art. 111, comma 8, Cost. per lamentare il mancato rispetto della giurisprudenza comunitaria ad opera del Consiglio di Stato, affermando che sono esperibili altri e sufficienti rimedi, dall’altra ha sollecitato la revisione e l’aggiornamento di tali rimedi alternativi, sottolineandone la poca efficacia e l’estrema difficoltà nell’utilizzarli per farne valere il merito.
Stiamo parlando di quanto previsto dalla nota (e ormai trentennale) giurisprudenza Francovich (1991) che configura la cd. responsabilità civile dello Stato di fronte al mancato adeguamento della normativa interna alle disposizioni degli organi comunitari, tra cui le pronunce della Corte di Giustizia.
Secondo tale giurisprudenza, poi specificata da altre sentenze tra cui la pronuncia Brasserie du Pêcheur and Factortame (1996) che ne hanno meglio chiarito l’applicabilità stabilendo criteri guida da osservarsi (ad es. quello della manifesta e grave violazione del diritto UE per poter accedere alla tutela risarcitoria), il cittadino potrebbe adire il giudice civile per lamentare gli inadempimenti dello Stato membro (tra cui gli inadempimenti giudiziari, come nel caso del Consiglio di Stato che si pronunci in violazione di principi espressi dalla giurisprudenza comunitaria).
In particolare, in conformità alla lettura combinata delle due sentenze sopra menzionate (Francovich e Brasserie du Pêcheur e Factortame), la Corte di Giustizia subordina la facoltà di esperire un’azione di risarcimento danni contro lo Stato membro inadempiente al presentarsi di quattro presupposti: i) l’attribuzione da parte della norma europea di un diritto in capo al singolo; ii) la grave e manifesta violazione del diritto UE; iii) l’esistenza di un nesso di causalità tra la violazione dell’obbligo (anche da parte di un soggetto esercente la potestà pubblica) e l’attribuzione del diritto; e iv) la sussistenza di un danno risarcibile subìto dal privato.
Nel corso degli anni il giudice europeo ha poi ulteriormente approfondito il tema con altre sentenze che sono risultate in un progressivo ampliamento dei diritti in capo al singolo. A tal riguardo, meritano di essere ricordate le sentenze Kobler (2003) e Traghetti del Mediterraneo (2006), le quali hanno espressamente esteso la responsabilità ai casi di infrazione del diritto comunitario originati da provvedimenti giurisdizionali. È stata così affermata la responsabilità principale dello Stato membro e attribuita a quest’ultimo la facoltà di esperire azione di rivalsa nei confronti del giudice colpevole della violazione dell’obbligo.
Più precisamente, con la sentenza Kobler per la prima volta veniva configurata la responsabilità dello “stato membro-giudice”, per tale intendendosi l’obbligo di rispondere nei confronti degli atti commessi dai propri magistrati. Successivamente, con la sentenza Traghetti del Mediterraneo, la Corte di Giustizia si è spinta oltre inducendo il legislatore ad ampliare la responsabilità del magistrato non solo per il travisamento di fatti e prove ma anche (e soprattutto) per la manifesta violazione del diritto comunitario. Il giudice europeo ha chiarito che la “manifesta violazione di legge” si riscontra in quel provvedimento giurisdizionale definitivo (passato in giudicato) connotato da quattro elementi cumulativi: i) un errore inescusabile; ii) una particolare gravità della violazione; iii) l’inosservanza dell’obbligo di interpretazione conforme al diritto UE; e iv) il mancato rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE. Casi nei quali la condotta del giudice viene caratterizzata da colpa grave tale da comportare una responsabilità civile dello stesso nei confronti dello Stato membro e, sussistendone i presupposti, anche ed eventualmente una responsabilità penale.
Senonché, nonostante tutti gli affinamenti apportati all’originaria sentenza Francovich, troppo spesso e troppo facilmente considerazioni di reverenza nei confronti di rispettabili giudici o organi nazionali hanno contribuito a giustificare errori giudiziari, adducendo che essi sarebbero stati commessi in buona fede o sarebbero altrimenti scusabili alla luce delle circostanze o, in ogni caso, non sarebbero “manifesti e gravi”.
Ciò ha portato, per usare la metafora dell’AG Hogan nelle sue Conclusioni, a rendere il rimedio prospettato dalla giurisprudenza un cane che non abbaia ma a cui “deve essere consentito di abbaiare perché è proprio l’abbaiare che dovrebbe segnalarci che i diritti che la normativa dell’Unione ha inteso garantire e tutelare sono oggetto – talvolta silenziosamente – di violazioni ad opera di errori giurisdizionali nazionali.”
Francovich, in buona sostanza, è un rimedio ad oggi poco efficace. Nessuno ne discute l’importanza fondamentale nell’ecosistema del diritto UE, ma tale importanza deve tradursi nell’applicabilità pratica. Ciò è tanto più vero se si pensa al fatto che, dal 1991 fino a data odierna, sono intervenuti numerosi cambiamenti, sentenze, norme, regole, pronunce che hanno ampliato diritti e tutele nei confronti dei singoli. Prima tra tutte, ad esempio, l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea laddove recita “Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare. […]”.
L’applicazione concreta del principio del risarcimento del danno per inadempimenti dello Stato membro deve essere quindi aggiornata alle più recenti previsioni legislative nazionali e sovranazionali in tema di garanzia del giusto processo, della più ampia tutela dei diritti individuali e dell’efficacia procedurale interna per ottenere ristoro ogniqualvolta si sia in presenza di una violazione dei diritti che discendono dall’apparato di disposizioni, principi e norme comunitarie.
In attesa della definitiva pronuncia della Corte di Giustizia, le Conclusioni dell’AG Hogan nel caso Randstad appaiono dunque aver dato un colpo al cerchio e uno alla botte. Infatti, se da una parte esse si mostrano negative quanto alla possibilità di esperire un ricorso innanzi alla Corte di Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione quando è in gioco il mancato rispetto da parte dei giudici dei principi del diritto dell’Unione (palesando tra le righe anche ragioni non strettamente sostanziali, ma politiche o di semplice economia processuale), dall’altra evidenziano come gli strumenti ad oggi utilizzabili siano inefficaci e necessitino di migliorie applicative per essere considerati delle vere tutele alternative.
A noi piace leggere le Conclusioni dell’AG anche come un invito alla Corte di Giustizia affinché la stessa provveda a rendere i rimedi giurisdizionali più efficaci nella pratica (ad esempio, riducendo i limiti procedurali e i requisiti per l’esperimento dei ricorsi di risarcimento del danno nei confronti dello Stato), in conformità alle tutele ad oggi previste dalle fonti normative nazionali e sovranazionali. Anche giurisprudenze al tempo innovative quali quella del caso Francovich devono comunque restare al passo con i tempi, aggiornandosi e rimanendo in linea con una visione ormai necessariamente dinamica del diritto.
Roberto Invernizzi