Attuazione della Direttiva SUP (Single Use Plastic): rischi antitrust in vista per le imprese?
Intro. Il recepimento della Direttiva (UE) 2019/904 mediante Legge di delegazione europea 2019-20201, costituisce l’approdo più recente, a livello nazionale, di plurime iniziative sorte a livello internazionale prima ancora che eurounitario, tutte accomunate dall’intento di favorire un processo di transizione verso sistemi di crescita ecosostenibili e modelli di economia circolari. A tal riguardo, gli obiettivi di cui all’Agenda 2030 ONU2, del settembre 2015, già sottolineavano la necessità di garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo e l’esigenza di conservare ed utilizzare in modo durevole i mari e le risorse marine. Gli impegni assunti in tale sede hanno conferito il giusto input alle misure di lì a poco succedutesi a livello UE. A questo proposito, nel dicembre 2015, la Commissione europea si è subito apprestata ad individuare la plastica come area di prioritario intervento nell’ambito del Piano d’azione per l’economia circolare3; a sua volta seguito, nel gennaio 2018, dal lancio della Strategia europea per la plastica nell’economia circolare4. In questa più ampia cornice è stata, da ultimo, concepita la Direttiva in oggetto. Ma che cosa statuisce quest’ultima in concreto? Come è stata recepita a livello nazionale? Quale l’impatto dispiegato sulle realtà imprenditoriali? Quali, purché esistenti, le criticità sul piano antitrust?
Direttiva SUP. Adottata il 5 giugno 20195, con l’obbligo per i Paesi membri di attuarla entro il 3 luglio scorso, la Direttiva SUP6 ha come obiettivo la riduzione della dispersione dei rifiuti monouso in plastica nell’ambiente, ivi compreso l’habitat marino. Su questa linea, vieta – a monte – la produzione degli oggetti in plastica che più di frequente si prestano all’abbandono in natura, privilegiando, al contempo, i prodotti realizzati in materiali più sostenibili. Le misure contenute nella Direttiva si propongono cioè di dare adeguata risposta all’allarme ambientale di cui si da evidenza in recenti studi scientifici, in base ai quali – come segnalato nella Direttiva – nel territorio dell’UE, l’80-85% dei rifiuti marini rinvenuti sulle spiagge sono di plastica e di questi, gli oggetti di plastica monouso rappresentano ben il 50%. Più in concreto, la Direttiva stabilisce un discrimine tra i prodotti in plastica monouso per i quali esistono alternative adeguate e più sostenibili e quelli per cui invece non sussistono tali valide opzioni. Quanto al primo gruppo, la direttiva prevede un divieto di immissione sul mercato UE. Ciò si applica a bastoncini cotonati, posate, piatti, cannucce, agitatori e aste per palloncini, nonché a tazze, contenitori per alimenti e bevande in polistirene espanso e a tutti i prodotti realizzati con plastica oxo-degradabile. In altri termini, laddove ciò non costituisca uno sforzo inesigibile per le imprese, si impone alle stesse una drastica e repentina accelerazione verso la sostituzione di tali prodotti monouso, i quali risultano i più comunemente esposti ad abbandono ed i più dannosi per l’ambiente, con alternative meno inquinanti. Quanto alla seconda categoria di prodotti (tazze per bevande e contenitori per alimenti), invece, è fatto obbligo di prevedere misure atte alla riduzione del loro uso7. Previsione questa che concede un più flessibile margine di manovra alle imprese coinvolte nella realizzazione di quei prodotti (v. i contenitori per alimenti) che notoriamente richiedono requisiti particolarmente elevati di igiene e sicurezza e dunque più lunghi tempi per la ricerca e lo sviluppo di validi materiali sostitutivi. Infine, peculiare risalto è attribuito al tema del riciclo, posto che è previsto – come obiettivo – l’incorporazione del 25 % di plastica riciclata nelle bottiglie per bevande in PET dal 2025 e del 30 % in tutte le bottiglie per bevande in plastica dal 2030.
Imprese. Date le stringenti disposizioni sopra illustrate, ad un primo impatto, le imprese della filiera produttiva in oggetto difficilmente avrebbero potuto scampare la riconversione dei propri impianti produttivi verso lidi più eco-compatibili, incentrati cioè sulla lavorazione di materiali differenti, come ad es. la cellulosa. Una prospettiva preoccupante se si considera che ciò avrebbe imposto massicci investimenti in ricerca e sviluppo e l’acquisto di nuovi costosi macchinari, ad un comparto che pur occupando una cospicua fetta del mercato italiano, risulta composto da piccole e medie imprese, non necessariamente disposte a simili dispendiosi interventi. Ci si sarebbe pertanto attesi un’alzata di scudi tutt’altro che misurata da parte delle imprese interessate. Viceversa, la Direttiva, quantomeno per il settore della plastica8, sembra perlopiù essere passata in sordina. Occorre riflettere, dunque, circa il motivo di tale anomalia. Ebbene, dagli ambienti del settore sembra trapelare notizia di un preventivo approccio pragmatico alla questione, intrapreso da gran parte delle imprese, sin dall’adozione della Direttiva a livello UE. In altri termini, le imprese si sarebbero sin da subito preparate al peggio ma con oculatezza, approfittando cioè dei 2 anni antecedenti all’entrata in vigore sul territorio italiano della Direttiva, per realizzare un giusto compromesso: evitare un’azzardata riconversione delle attività, adoperandosi, piuttosto, ad un aggiustamento in “salsa green” dei materiali in plastica già prodotti. Un indirizzo rivelatosi a posteriori strategico e “vincente” sotto un duplice profilo: (i) in sede di recepimento della Direttiva è stata predisposta un’esenzione dal divieto proprio per le plastiche biodegradabili e compostabili9; (ii) dal punto di vista antitrust, non è germogliato alcun rischio di accordi potenzialmente collusivi tra imprese.
Antitrust. La Segnalazione in merito a proposte di riforma concorrenziale dell’AGCM al Governo, del Marzo 202110, non fa alcun riferimento alla Direttiva, a dimostrazione della mancata rilevazione di criticità circa effetti anticoncorrenziali reali o potenziali delle disposizioni in commento. Emerge, tuttavia, come il vero piano si cui si muoverà nel prossimo futuro la concorrenza sarà quello del riciclo, attorno al quale si renderanno indispensabili nuove ricerche ed ingenti investimenti, anche comuni, tra le realtà imprenditoriali. Laddove tale via non fosse percorribile, come nel caso dei rifiuti indifferenziati, dovremmo quantomeno assistere ad un incremento della loro trasformazione in energia, tramite termovalorizzatori. È proprio con riferimento a questi ultimi impianti, che sussistono ombre anticoncorrenziali di non poco conto, connesse ad un eccessivo accentramento impiantistico nel Nord del Paese e, dunque, a situazioni di potenziale monopolio e sfruttamento abusivo. L’Autorità raccomanda, al riguardo, di semplificare gli annessi iter autorizzativi e di predisporre adeguate incentivazioni alle popolazioni ed enti locali interessati.
1https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2021/04/23/97/sg/pdf, p. 17, art. 22.
2 https://unric.org/it/wp-content/uploads/sites/3/2019/11/Agenda-2030-Onu-italia.pdf. Obiettivi n. 12 e 14, pp. 22.24.
5 Con entrata in vigore a partire dal 2 luglio 2019.
6 https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32019L0904&from=EN.
7 In specifico, vengono previste: (i) la riduzione dei consumi tramite misure di sensibilizzazione; (ii) l’introduzione dei requisiti di progettazione; (iii) l’introduzione di requisiti di etichettatura in grado di informare i consumatori sul contenuto di plastica dei prodotti, sulle opzioni di smaltimento che devono essere evitate e sui danni arrecati alla natura se i prodotti vengono dispersi nell’ambiente; (iv) l’introduzione di obblighi per la gestione e la rimozione dei rifiuti per i produttori, compresi i regimi di responsabilità estesa del produttore.
8 Una considerazione a latere meriterebbe il settore cartario, su cui la Direttiva SUP sembra paradossalmente destinata a dispiegare un impatto negativo ancor maggiore rispetto alla filiera dei produttori di plastica. A seguito della recentissima adozione (maggio 2021) delle Linee Guida per la corretta interpretazione ed attuazione della direttiva parrebbe, infatti, che l’ambito applicativo della Direttiva sia passibile di estendersi ben oltre quanto contenuto nel testo legislativo, arrivando a comprendere anche i prodotti in carta ricoperti con un sottile film di plastica. A tale inatteso risvolto si devono le proteste e richieste di apposizione di riserva al testo della Direttiva, sollevate solo nei mesi di maggio e giugno scorsi.
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52021XC0607(03)&from=EN.
9 https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2021/04/23/97/sg/pdf, p. 17, art. 22, p. 1, lett. c).
10 https://www.agcm.it/dotcmsdoc/allegati-news/S4143%20-%20LEGGE%20ANNUALE%20CONCORRENZA.pdf, Cap. V, lett. c), pp. 72-74.
11 “Prevedendo nell’ambito di ogni fase autorizzativa un maggiore ricorso a forme di autocertificazione e la certezza delle tempistiche per la conclusione dei procedimenti anche mediante l’attivazione di poteri sostituivi in caso di inerzia delle amministrazioni pubbliche interessate”. Op. ult. cit. p. 74.
Francesca Maria Moretti